sabato 21 marzo 2020

Game of Thrones e il marxismo: interpretazioni a confronto

1. Un finale controverso

Le Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, e la loro trasposizione televisiva nella serie Game of Thrones (1), hanno riscosso enorme successo e hanno, per comune consenso, innovato profondamente il genere fantasy. Secondo Wu Ming 4, Martin eredita da Tolkien “la ricerca del senso di profondità della vicenda e dello scenario, e l’atmosfera malinconica di un mondo in profonda crisi, ma inserisce nel suo universo la politica, che rende molto più difficile tracciare una contrapposizione netta tra due cause, Luce contro Oscurità. È lo stesso Martin ad affermare che il suo mondo potrebbe essere la Terra di Mezzo dopo la definitiva partenza degli Elfi, completamente secolarizzata, un mondo tutto umano, dove regnano soprattutto intrigo e lotte per il potere”. (WU MING 4 2013).

Tuttavia l'ottava e ultima stagione di Game of Thrones, andata in onda nella primavera del 2019,  ha suscitato lo scontento di molti. Le critiche più frequenti s'incentrano sulla frettolosità degli sviluppi narrativi, su varie incoerenze e superficialità nella sceneggiatura (TUFEKCI 2019), e soprattutto sul trattamento riservato a uno dei personaggi principali, la regina Daenerys Targaryen – che, nelle ultime due puntate, riesce a conquistare il trono di spade solo dopo aver perduto la ragione e dopo aver perpetrato un massacro indiscriminato di civili inermi, e viene infine uccisa mentre si appresta a capeggiare ulteriori distruttive e sanguinose campagne militari.


2. La critica di Zizek al finale di Game of Thrones

In un articolo pubblicato su “Independent” il 21 maggio 2019 (ZIZEK 2019), il filosofo Slavoj Zizek ha espresso un'acuta critica al finale della serie, evidenziandone il conservatorismo politico e lo sciovinismo maschilista.

Scrive Zizek che l'uccisione di Daenerys avviene al culmine di una lotta “fra la tradizionale nobiltà 'buona' (…) che protegge i propri sudditi dai tiranni malvagi, e Daenerys intesa come un nuovo tipo di leader forte, una sorta di bonapartista progressiva che agisce per conto dei diseredati. - La posta, nel conflitto finale, è la seguente: la rivolta contro la tirannia dev'essere solo una lotta per il ritorno al vecchio e più benevolo ordine gerarchico, oppure dovrebbe evolversi nella ricerca di un nuovo e necessario ordine sociale? - Il finale congiunge il rifiuto di un cambiamento radicale con una vecchia tematica antifemminista”, in base alla quale non vi sarebbe “nulla di più disgustoso di una donna che interviene nella vita politica spinta dalla sua brama di potere”, e in base alla quale la donna sarebbe per natura di mentalità angusta e “incapace (…) di percepire la dimensione universale della politica statale”.



In considerazione dell'ideologia antifemminista mostrata dagli autori, Zizek osserva che il massacro di civili operato da Daenerys appare essenzialmente come “una fantasia maschile”, mentre la discesa verso la pazzia di questo personaggio è “psicologicamente ingiustificata” ed esprime più che altro “l'ideologia patriarcale e la sua paura di una donna politicamente forte”. Sempre secondo Zizek, “l'emarginazione delle donne è un momento chiave della generale lezione liberal-conservatrice del finale: le rivoluzioni finiscono male e portano con sé altra tirannia”. Invece quella di Daenerys è stata l'uccisione del “solo agente sociale (...) che combattesse realmente per qualcosa di nuovo, per un nuovo mondo che ponesse fine alle vecchie ingiustizie”.

Infine, sempre secondo Zizek, “non si può fare a meno di notare che coloro i quali rimangono fedeli a Daenerys sino alla fine sono più diversi – il suo comandante militare è nero – mentre i nuovi governanti sono chiaramente bianchi e nordici. La regina radicale che desiderava per tutti più libertà, indipendentemente dalla posizione sociale e dalla razza, viene eliminata, e le cose sono riportate alla normalità”.

Fin qui Zizek. Prima di proseguire, vorrei rilevare che non si tratta della prima volta che un critico marxista, nell'analizzare un prodotto della cultura di massa, prende le difese di un personaggio contro chi ne è autore. Un precedente illustre è costituito dallo stesso Marx, quando nella sua analisi de I misteri di Parigi elogia il personaggio di Fleur-de-Marie, “una donna libera e forte” (ENGELS-MARX 1972, p. 222), sacrificata da Eugène Sue sull'altare dei propri pregiudizi piccolo-borghesi Secondo Marx, infatti, con il personaggio di Fleur-de-Marie “Eugenio Sue si è innalzato sopra l'orizzonte della sua ristretta visione del mondo. Ha colpito in piena faccia i pregiudizi della borghesia”. Tuttavia successivamente lo stesso Sue uccide Fleur-de-Marie “per guadagnarsi il plauso di tutti i vecchi e le vecchie, di tutta la polizia parigina, della religione corrente e della 'critica critica'” (ENGELS-MARX 1972, p. 224).

3. La critica di Sotirios F. Drokalos a Zizek

In Italia, una curiosa risposta alla critica di Zizek è apparsa su Immoderati.it (un sito d'ispirazione liberale), a firma di Sotirios Fotios Drokalos (DROKALOS 2019).

Dopo aver enunciato la tesi, piuttosto impegnativa, secondo cui “solo chi non ha studiato e compreso sufficientemente il pensiero di Karl Marx può continuare a definire se stesso come marxista e comunista”, e dopo aver riassunto l'articolo di Zizek, Drokalos afferma che Hegel e Marx “avrebbero senz’altro concordato che le rivoluzioni benefiche siano frutto di importanti evoluzioni materiali e intellettuali oggettive e di mutamenti nel corpo della società, quindi non da azioni isolate di monarchi romantici o di piccoli gruppi di persone”. Secondo Drokalos, la “politica di liberazione di Daenerys Targaryen” rifletterebbe “un approccio volontaristico all’azione politica e al cambiamento sociale, rappresentando una specie di leader che crede di poter agire secondo le proprie visioni idealistiche e imporre il suo volere, ignorando la realtà sociale oggettiva. Un atteggiamento del genere non può avere risultati positivi a lungo termine, e inevitabilmente sfocierà [sic] nell’autoritarismo e verso una tendenza punitiva nei confronti della società, nel momento in cui le convinzioni e i desideri del leader confliggano con una realtà sociale che non accetti questi presupposti”.

Per Drokalos, nel paese ove si svolgono la maggior parte delle vicende di Game of Thrones mancano insomma le condizioni oggettive per una rivoluzione. “Westeros è un continente insulare dove c’è un’organizzazione sociale esclusivamente dinastica e feudale, che non contiene città indipendenti e centri commerciali e bancari autonomi. Non esiste vale a dire alcun elemento borghese e capitalista primordiale come quelli dell’alto medioevo europeo, che farebbe pensare ad esempio ai comuni dell’Italia rinascimentale. Mancano dunque degli elementi che avrebbero indicato che la società di Westeros porta in se imminenti trasformazioni storiche nel suo ordine politico e sociale”.

Non solo. Secondo Drokalos, la regina dei draghi avrebbe anche sbagliato ad abbattere lo schiavismo nel continente di Essos, dove (scrive Drokalos) “Daenerys ha imposto in modo sanguinario il suo potere e cancellato i regimi oligarchici preesistenti massacrando gli aristocratici”. La ragione (indovinate un po'?) è che ad Essos mancano le condizioni oggettive per l'abolizione della schiavitù. Per Drokalos, una “liberazione di schiavi non può essere sostenibile e veramente riuscita se non proviene da certe evoluzioni economiche, tecnologiche e sociali in grado di portare cambiamenti al processo produttivo e quindi un riassestamento consistente nei rapporti di produzione. (...) La servitù nel mondo reale fu abolita grazie alla crescita accelerativa delle forze di produzione mediante la scienza e la tecnologia, che la resero inutile e improduttiva (…). Prima però che ciò accadesse, la schiavitù era necessaria per il progresso economico e sociale”. Drokalos suffraga quest'altra sua affermazione alquanto azzardata richiamandosi all'autorità dello stesso Marx, che – sempre secondo Drokalos – enuncerebbe  “nei suoi testi” tale tesi della schiavitù “necessaria”.

Infine Drokalos approva il finale della serie, nel quale il Consiglio formato dai Grandi Nobili di Westeros “rigetta la proposta di un’elezione democratica del re” decidendo però “l’abolizione della successione di sangue” e l'elezione del re da parte dei “rappresentanti delle casate aristocratiche”. Il commento di Drokalos è che tanto “la dialettica hegeliana quanto quella materialista marxista, ma anche l’esperienza storica, avrebbero previsto un’evoluzione sociopolitica di questo tipo, ossia l’apparizione di un sistema politico nuovo e più democratico come prodotto dei contrasti e degli scontri della situazione precedente, che tuttavia avrebbe rapporti di coerenza e continuità con quella precedente. Non sarebbe possibile che una società adottasse il suffragio universale se fino a ieri il suo sistema di governo era la monarchia assoluta”. Pertanto, sempre secondo Drokalos, “la conclusione della serie è perfettamente in linea con il modo in cui secondo Hegel si sviluppa l’autocoscienza dello spirito nella storia.”

4. Drokalos e George R.R. Martin: un incontro mancato

Rilevo innanzitutto la disinvoltura con cui Drokalos si sbarazza di un problema su cui si è arrovellata la critica filosofica negli ultimi cento anni, ossia quello del rapporto fra Hegel e Marx. Per Drokalos, a quanto pare, si tratta di un problema inesistente. Egli identifica senz'altro il pensiero di Marx con quello di Hegel, come se l'intesa fra i due pensatori fosse scontata. Qui di seguito sarò meno audace di Drokalos: mi limiterò a discutere la sua interpretazione del pensiero di Marx, mentre non parlerò affatto di Hegel.

Dimostrerò che l'articolo di Drokalos appare viziato da una conoscenza assai carente del suo oggetto (ossia Drokalos sembra non aver letto il romanzo né aver visto la serie televisiva), ed è inoltre improntato a un “marxismo” volgare, che ha poco a che vedere con il reale pensiero di Karl Marx.

Cominciamo con gli errori di lettura o d'interpretazione commessi da Drokalos riguardo alle Cronache del ghiaccio e del fuoco.

* È falso quanto sostiene Drokalos, che a Westeros non vi siano relazioni economiche di tipo moderno. Fra questo continente e il vicino continente di Essos intercorrono frequenti scambi commerciali; in Essos ha sede, fra l'altro, una banca potentissima, la Banca di ferro di Braavos, che fa il bello ed il cattivo tempo accordando o negando finanziamenti ai potentati di Westeros.

“Ognuna delle nove città libere aveva la propria banca, alcune anche più di una, che si azzannavano tra loro per il conio come i cani per un osso. La Banca di Ferro, però, era la più ricca e la più potente di tutte le altre banche messe insieme. Quando i principi non riuscivano a ripagare i propri debiti alle banche minori, i banchieri in rovina vendevano moglie e figli in schiavitù e procedevano ad aprirsi le vene. Quando i principi non riuscivano a ripagare i loro debiti alla Banca di Ferro, nuovi principi apparivano come dal nulla e prendevano possesso del trono”. (MARTIN 2016, p. 314).

Evidentemente un sistema economico dove il credito ha tanta importanza non può essere definito senz'altro come premoderno. Se dovessimo trovare un paragone storico, penseremmo più all'Europa  alla fine del feudalesimo che non al suo inizio. Torneremo su questo punto più avanti.

* È in errore Drokalos quando scrive che la pretesa di Daenerys “di conquistare il trono non si basava sul sostegno o per lo meno sulla simpatia popolare, bensì esclusivamente sulla successione dinastica tradizionale” nella convinzione “che il trono le appartenesse per diritto di nascita come successore della dinastia decaduta dei Targaryen, e nel caso il suo diritto alla successione non venisse rispettato, avrebbe occupato il potere con la violenza, disinteressandosi del fatto che i popoli di Westeros la volessero e la accettassero come loro regina oppure no”. Al contrario: vari passi del romanzo attestano non solo che Daenerys intende regnare su Westeros con il consenso del popolo, ma anche che intende instaurare un sistema politico e sociale più giusto.

Fin dall'inizio a Daenerys Targaryen è ben chiaro che il popolo di Westeros non è interessato al titolo legale del monarca. Il popolo aspira prima di tutto alla pace:

“'La gente prega perché venga la pioggia, i figli crescano sani, l'estate non finisca mai' ribatté Ser Jorah. 'Per la gente non ha nessuna importanza se gli alti lord giocano al gioco del trono. Basta che la lascino in pace'. Scrollò le spalle. 'Solo che non viene mai lasciata in pace'.
Per qualche tempo Daenerys continuò a cavalcare in silenzio, mentre quei concetti si aggregavano e si disgregavano nella sua mente come i frammenti di un rompicapo. Che alla gente non importasse affatto se il sovrano era un vero re o un Usurpatore andava contro quanto Viserys aveva sempre sostenuto. Ma più rimuginava le parole di ser Jorah, più esse risuonavano di verità” (MARTIN 2016c, p. 247).

Oltre che a far cessare le lotta tra feudatari che devastano Westeros, Daenerys intende inoltre portare giustizia su quel continente, perché ritiene che solo l'ideale della giustizia sia quello che giustifica la monarchia:

“Per quale ragione gli dèi creano re e regine, se non per proteggere coloro i quali non sono in grado di proteggersi da soli? (…) La giustizia... è la ragione di esistere dei re” (MARTIN 2016d, p. 395).

Fin qui possiamo dire che questi propositi di Daenerys rientrano ancora nell'ideologia del feudalesimo (e comunque si tratta di propositi ben diversi dal mero “occupare il potere con la violenza” che le attribuisce Drokalos). Ma un elemento nuovo emerge allorquando Daenerys, dopo aver dato avvio alla liberazione di intere popolazioni di schiavi nel continente di Essos, mostra di concepire se stessa come leader di un esteso movimento di emancipazione che dovrà estendersi al continente occidentale. Prima ancora di conquistare la città-stato schiavista di Astapor, Daenerys si trova a capo di una moltitudine di nomadi in cammino:

“La seguiva il resto della sua gente (…). Daenerys aveva collocato i vecchi e gli infermi al centro della colonna, assieme alle donne che allattavano, a quelle incinte, alle bambine e ai bambini ancora troppo giovani per portare i capelli a treccia. Il resto, i suoi guerrieri, quei pochi che le rimanevano, cavalcavano all'esterno del gruppo, spingendo avanti quel centinaio di cavalli macilenti sopravvissuti sia alla desolazione rossa sia alla traversata del nero mare velenoso.
'Avrei dovuto far cucire un vessillo' si rimproverò Daenerys, continuando a guidare la patetica processione lungo il corso serpeggiante del fiume di Astapor. Chiuse gli occhi, cercando d'immaginare come avrebbe potuto essere: seta nera leggera e impalpabile, con al centro il drago a tre teste dei Targaryen che lanciava fiamme dorate. 'Un vessillo come quello che avrebbe innalzato Rhaegar'” (MARTIN 2016d, pp. 397-8).



Ora, il vessillo che Daenerys ha pensato per la sua gente è, di fatto, lo stemma dei Targaryen. Tuttavia è evidente che, in un passo come quello che ho citato qui sopra, l'antico simbolo feudale è surdeterminato da nuovi significati, che non hanno nulla a che vedere con ambizioni dinastiche o con la mera sete di potere. Hanno invece a che vedere col fatto che Dany, ella stessa abusata e traumatizzata fin dall'infanzia, ha deciso di utilizzare l'esperienza del suo trauma per proteggere i deboli e gli oppressi (SCARLET 2019) e per aiutarli nella loro emancipazione (ZIZEK 2019).

Dopo aver conquistato Astapor, mentre muove contro l'altra polis schiavista di Yunkai, Dany ha la responsabilità di un enorme accampamento composto da “decine di migliaia” di liberti che hanno scelto di seguirla, fra cui molte donne, vecchi e bambini – fra tutti questi liberti solo “uno su dieci” può combattere (MARTIN 2016h, pp. 204-5).

Se a ciò aggiungiamo che, dopo Astapor e Yunkay, è solo suscitando un'ampia rivolta degli schiavi entro le mura della città che Daenerys riesce a conquistare anche Meereen (MARTIN 2016f, p. 245), troviamo che il potere di Daenerys Targaryen su queste città ex schiaviste non si fonda affatto sulla sola violenza militare né sul diritto di conquista né su pretese dinastiche, come pretende Drokalos: la regina può contare su una consistente base di consenso costituita dagli ex schiavi, ora liberi.

Ha quindi ragione Mauro Vanetti quando osserva che Daenerys mostra “attenzione alla questione del consenso popolare” e sa “usare con abilità la lotta di classe per costruire la propria base sociale” (VANETTI 2019, cap. 1). Aggiungerei solo che la Madre dei draghi non agisce così solo per calcolo o per tattica, bensì nella convinzione soggettiva che la sua azione contribuirà realmente a costruire un mondo più giusto.

Per inciso, aggiungo una considerazione. Appare del tutto fuori luogo il tono scandalizzato con cui Drokalos lamenta che “in certe città del continente di Essos, Daenerys ha imposto in modo sanguinario il suo potere e cancellato i regimi oligarchici preesistenti massacrando gli aristocratici”. Drokalos dimentica di specificare che i suoi “aristocratici” sono in realtà schiavisti quantomai crudeli, che per esempio di fronte alla porta principale della città di Astapor avevano realizzato una Piazza del Castigo, in cui appariva “una piattaforma di legno dove gli schiavi ribelli venivano squartati, scuoiati e impiccati” e che era collocata in modo da essere “la prima cosa che un nuovo schiavo” vedeva “nell'entrare ad Astapor” (MARTIN 2016d, p. 398). Prima della conquista di Meereen, i padroni della città avevano crocifisso a scopo terroristico centosessantatré bambini schiavi “a ogni palo miliare della strada costiera” (MARTIN 2016f, pp. 31-2). Questi sono gli “aristocratici” sul cui destino il liberale Drokalos sembra commuoversi. E se, dopo la conquista di Meereen, Daenerys ordina di crocifiggere centosessantatré schiavisti nella piazza principale (MARTIN 2016f, p. 238), è arduo non considerare ciò un atto di giustizia.

Daenerys Targaryen ha dunque abolito per legge la schiavitù nella ex Baia degli schiavisti e ha “distrutto il mercato degli schiavi” (MARTIN 2016e, p. 348). Naturalmente, il fatto che la schiavitù sia stata abolita non significa che le lotte di classe siano finite, il che non manca di essere rilevato sia nel romanzo sia nella serie televisiva. A Meereen, per esempio, alla schiavitù si sono sostituiti rapporti di lavoro salariato per “compensi talmente miserabili che la maggior parte” dei liberti “riusciva a stento a comprarsi da mangiare” (MARTIN 2016e, pp. 55-6). “I liberti lavorano a prezzi troppo bassi” facendo concorrenza al ribasso agli artigiani, e Daenerys risolve il problema decretando di liberalizzare l'iscrizione alle gilde: “le gilde aprano i loro registri a qualsiasi liberto in grado di dimostrare l'abilità richiesta” (MARTIN 2016e, p. 190). E così via.

Ma, a sua volta, il fatto che l'eguaglianza ottenuta dagli ex schiavi sia un'eguaglianza legale e formale, e non ancora l'eguaglianza sostanziale che sarà propria della società senza classi – questo fatto non significa che non sia valsa la pena di abolire la schiavitù. Da un punto di vista marxista “le forme 'libere' del lavoro capitalistico, sebbene siano illusorie se giudicate in rapporto alla libertà reale di un ipotetico ordinamento socialista, hanno rappresentato un progresso reale rispetto alla costrizione aperta della schiavitù o della servitù della gleba, e (…) quindi un ritorno a queste forme sarebbe totalmente regressivo e reazionario” (CARR 1982, p. 162; qui Carr riporta un ragionamento di Isaac Deutscher). Nel romanzo viene giustamente fatto notare che a Meereen, dopo la liberazione degli schiavi, esistono bensì ancora i portatori di palanchini, però ora vengono pagati e, quando cadono, vengono aiutati, mentre quando erano schiavi venivano frustati (MARTIN 2016g, p. 75). Sempre da un punto di vista marxista, gli ex schiavi possono ora continuare la loro lotta di classe da posizioni storicamente più avanzate e in condizioni più favorevoli (in relazione, per esempio, alla possibilità di organizzarsi in sindacati, che da schiavi certamente non avevano, ecc.).

* È in errore Drokalos quando sostiene che non ci siano prove che “la società di Westeros porta in se [sic] imminenti trasformazioni storiche nel suo ordine politico e sociale”. In realtà vi sono molti prodromi di un prossimo cambiamento di tale ordine.

Tanto per cominciare molti, fra il popolo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, hanno in odio la tirannia ed aspirano, più o meno confusamente, a un sistema politico e sociale più giusto. Lo dimostrano i vari passi del romanzo in cui personaggi del popolo mostrano di attendersi sostanziali miglioramenti dall'arrivo dell'armata di Daenerys. Ecco uno di questi passi:

“'Se per caso raggiungerai la tua regina, dalle un messaggio da parte degli schiavi di Vecchia Volantis'.
La vedova si toccò la sbiadita cicatrice sulla guancia rugosa, dove erano state raschiate via le lacrime.
'Dille che la stiamo aspettando. Dille di arrivare presto'”. (MARTIN 2016a, p. 68; qui siamo ad Essos).

Qui eravamo fra gli schiavi di Essos. Ecco un altro passaggio, ambientato nel palazzo reale di Westeros, dove regna tirannicamente Cersei Lannister:

“Cersei stava perdendo la pazienza. 'C'è altro?'
'Un'ultima cosa. Una questione di poco conto'. Qyburn le rivolse un sorriso di scusa, e le raccontò di uno spettacolo di burattini, molto in voga tra il popolino, in cui un regno di animali è governato da un branco di altezzosi leoni. 'Man mano che il sedizioso racconto procede, i leoni diventano sempre più avidi e arroganti, finché non iniziano a divorare i loro stessi sudditi. Quando il nobile cervo muove delle obiezioni, i leoni divorano anche lui, e ruggiscono che è loro diritto, poiché sono i predatori più potenti'.
'E finisce così?' chiese Cersei divertita. Visto sotto la luce giusta, poteva essere una lezione salutare.
'No, maestà. Alla fine si schiude un uovo da cui fuoriesce un drago che incenerisce tutti i leoni'.
Quel finale faceva passare lo spettacolo di burattini dalla semplice insolenza al tradimento.
'Stupidi sciocchi. Solo degli stolti metterebbero a rischio le loro teste per un drago di legno'.” (MARTIN 2016b, p. 19).

Queste specie di “addavenì Daenerys” cosparsi nel romanzo (se vogliamo fare un paragone storico con il motto “addavenì Baffone” di molti proletari italiani che, alla fine della seconda guerra mondiale, attendevano con speranza l'arrivo dell'Armata rossa) possono benissimo essere indice della immaturità politica di quegli strati della popolazione che vivevano in uno stato di “aspettazione messianica” dell'avvento di Daenerys Targaryen. Secondo lo storico Ernesto Ragionieri, infatti, formule come “arriva Barbison” (la versione settentrionale di “addavenì Baffone”) erano “quasi la extrapolazione di un ribellismo e di una volontà di riscossa che in quelle formule (…) trovavano una giustificazione della propria passività” (RAGIONIERI 1978, p. 391). Tuttavia, se non altro, il fenomeno indica che una parte della popolazione, nelle Cronache del ghiaccio e del fuoco, è pronta a un cambiamento di tipo rivoluzionario; il che invalida uno degli argomenti chiave di Drokalos.

Ancora più significativi in questo senso sono due esempi di lotte di classe che troviamo nel romanzo: quello rappresentato dalla Fratellanza senza vessilli e quello condotto dal Popolo libero.

Nel pieno della guerra si crea, fra ex soldati del defunto re Robert, un gruppo di guerriglieri denominato “la fratellanza senza vessilli”, che si propone fra l'altro di difendere la popolazione civile contro le violenze dell'esercito dei Lannister. Ecco come uno di loro racconta la nascita della banda di fuorilegge:

“Eravamo ancora uomini del re (…) e le genti che i leoni di Castel Granito stavano sterminando erano ancora le genti del re. Se non potevamo combattere per re Robert, allora sarebbe stato per loro che avremmo combattuto. E avremmo continuato a combattere fino a quando anche l'ultimo di noi fosse morto. Così abbiamo fatto, ma poi qualcosa di strano accadde. Per ogni uomo che perdevamo, altri due venivano a prendere il suo posto. Alcuni erano cavalieri o scudieri, di nobili natali, ma la maggior parte erano uomini comuni: braccianti e violinisti, locandieri, servitori e calzolai, perfino due septon. Uomini di tutti i generi, e anche donne, bambini, cani...” (MARTIN 2016d, p. 245).

Oltre la Barriera che segna il confine settentrionale della parte “civilizzata” del continente di Westeros vi è poi il Popolo libero. Chiamati “bruti” dagli abitanti dei sette regni, con i quali sono continuamente in conflitto, gli uomini e le donne del Popolo libero vivono in tribù secondo un'organizzazione sociale improntata al comunismo primitivo e caratterizzata, fra l'altro, dall'uguaglianza fra i generi. Il Popolo libero si batte per rimanere tale effettuando anche delle razzie a sud della Barriera. Ecco come una donna del popolo libero rivendica il proprio diritto a predare:

“Siete voi quelli che rubano. Vi siete presi tutto il mondo, e avete costruito la Barriera per tenere fuori il popolo libero. (…) - Gli dèi hanno fatto la terra perché tutti gli uomini la condividessero. È stato solo quando sono venuti i re con le corone e le spade d'acciaio e hanno detto che era tutto loro. 'Miei sono gli alberi' hanno detto 'e tu non puoi mangiare le mie mele. Mio è il fiume, e tu non puoi pescare. Mio è il bosco, e tu non puoi cacciare. Mia la terra, mia l'acqua, mio il castello, mia la figlia, tieni giù le mani o te le taglio, però, se pieghi le ginocchia, magari te la faccio odorare'. Voi ci chiamate ladri, ma almeno un ladro dev'essere coraggioso, furbo e svelto. Uno che s'inginocchia, s'inginocchia e basta” (MARTIN 2016h, p. 189).

Tutti questi elementi (le aspettative diffuse nel popolino circa il prossimo avvento di Daenerys, e ancor più le lotte di classe portate avanti dalla Fratellanza senza vessilli e dal popolo libero al di là della Barriera) indicano come non sia affatto vero, come pretende Drokalos, che nel mondo delle Cronache del ghiaccio e del fuoco le condizioni oggettive siano contrarie ad ogni sviluppo storico in senso rivoluzionario. Esistono invece consistenti segnali del fatto che il continente occidentale, che Daenerys si appresta a conquistare, sia un sistema sociale in crisi e sull'orlo di importanti trasformazioni.

5. Drokalos e Karl Marx: un altro incontro mancato

Occorre dire che il “marxismo” di Sotirios F. Drokalos costituisce un'interpretazione assai semplificata e involgarita del pensiero di Karl Marx. Quando infatti Drokalos scrive che “la servitù nel mondo reale fu abolita grazie alla crescita accelerativa delle forze di produzione mediante la scienza e la tecnologia”, e che prima di tutto questo “la schiavitù era necessaria per il progresso economico e sociale”, egli sta proponendo una versione ultra-meccanicista del marxismo, in cui il motore della storia non è costituito dalla lotta di classe bensì dal solo progresso scientifico e tecnologico. Eppure a Drokalos sarebbe bastato leggere le prime righe del Manifesto del partito comunista per apprendere che, secondo Marx, “la storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. - Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta”... (MARX-ENGELS 1978, p. 100). In termini marxisti, lo schiavismo antico non cadde da sé, per solo effetto del progresso scientifico, bensì fu superato anche grazie alle lotte di classe che, sviluppandosi in forme molteplici attraverso i secoli, finirono per indebolire il sistema schiavistico favorendo così la sua sostituzione con un altro, più avanzato modo di produzione: quello feudale (2).

Il “marxismo” di Drokalos appare improntato a una concezione stadiale e unilineare dello sviluppo storico, in base alla quale esisterebbero delle tappe prefissate che ciascuna società deve obbligatoriamente percorrere durante la sua evoluzione e che non possono essere saltate. Secondo Drokalos un paese schiavista, prima di tentare l'abolizione della schiavitù, dovrebbe accertarsi che  esistano in loco le condizioni materiali per tale abolizione, in termini di sviluppo delle forze produttive. Se queste condizioni non esistono, la sola cosa che gli schiavi possono fare è aspettare pazientemente che lo sviluppo scientifico e tecnologico del paese metta gentilmente a disposizione metodi produttivi più avanzati: finché questo non succede gli schiavisti, secondo Drokalos, possono dormire sonni tranquilli (3). Ciò – si badi bene - anche se contemporaneamente altri paesi vivono benissimo senza schiavitù: Drokalos, infatti, nella sua disamina delle Cronache del ghiaccio e del fuoco non accenna al fatto che, mentre lo schiavismo esiste in certe parti di Essos, è invece del tutto assente nel vicino continente di Westeros. Si direbbe che, per il liberale Drokalos, ogni società debba evolvere per conto proprio, senza contatti o influenze con le altre, come in un sistema di compartimenti stagni.

Questa concezione meccanicista ed evoluzionista, molto diffusa nel marxismo della Seconda Internazionale, non corrisponde però agli esiti più maturi del pensiero di Marx, il quale, osserva Stefano Musto, “negò numerose volte – sia in testi pubblicati che in manoscritti non dati alle stampe – di avere concepito un'interpretazione unidirezionale della storia, in base alla quale gli esseri umani erano destinati a compiere ovunque il medesimo cammino e, per giunta, attraverso le stesse tappe” (MUSTO 2018, cap. 9). Sempre secondo Musto, negli “ultimi anni della sua esistenza, Marx si allontanò sempre più dall'idea che il modo di produzione socialista potesse essere conseguito solo attraverso specifiche tappe. La concezione materialistica della storia che egli elaborò è tutt'altro che la sequenza meccanica alla quale è stato ridotto più volte il suo pensiero. Essa non è assimilabile alla tesi che la storia umana sia una scontata successione di modi di produzione. (…) Il suo metodo non è riducibile al determinismo economico” (MUSTO 2018, cap. 9).

Per esempio, nella sua lettera del 1877 alla redazione della rivista russa “Annali della patria”, Marx dichiarò di non accettare che la propria analisi della genesi del capitalismo venisse trasformata in una “teoria storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli indipendentemente dalle circostanze storiche nelle quali essi sono posti”, ossia in una “teoria storico-filosofica generale, la cui virtù suprema consiste nell'essere soprastorica” (citata nella postfazione di Alfonso M. Iacono a MARX 2009, p. 308).

Posti di fronte al problema se la Russia potesse “saltare” una fase dello sviluppo attraversato da altri paesi, giungendo così al comunismo senza passare necessariamente attraverso una fase capitalistica, Marx ed Engels risposero che, a certe condizioni, ciò era possibile. “Si affaccia ora il problema: la comunità rurale russa, questa forma in gran parte già disciolta, è vero, della originaria proprietà comune della terra, potrà essa passare direttamente a una più alta forma comunistica di proprietà terriera, o dovrà essa attraversare prima lo stesso processo di dissoluzione che trova la sua espressione nell'evoluzione storica dell'occidente? - La sola risposta oggi possibile è questa: se la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si completino, allora l'odierna proprietà comune russa potrà servire di punto di partenza per una evoluzione comunista” (Prefazione all'edizione russa del 1882, in MARX-ENGELS 1978, p. 311).

Per Marx ed Engels, quindi, era possibile che una rivoluzione in Russia, aiutata da una concomitante “rivoluzione operaia in occidente”, facesse saltare alla Russia una tappa dello sviluppo storico già vissuto dai paesi capitalisti. In quest'ottica, la mancanza in Russia di forze produttive moderne come quelle occidentali non poteva costituire un problema: secondo Marx ed Engels, gli operai dell'occidente industrializzato (nel corso di un processo rivoluzionario di portata internazionale) avrebbero aiutato la Russia, esportando in quel paese le loro tecniche produttive e permettendo così ai russi di iniziare, assieme agli stessi operai occidentali, la costruzione di un'economia socialista mondiale.

La concezione meccanicista dello sviluppo storico – basata su una lettura parziale e unilaterale dell'opera di Marx - fu predominante nel marxismo della Seconda internazionale. Più tardi essa fu riportata in auge dallo stalinismo (cfr. il contributo di Vittorio Morfino in MELLINO-POMELLA 2020; vedi anche KONSTAN 1975, p. 146). Ma nel XX secolo, almeno da Lenin in poi, si può dire che tutto il marxismo degno di questo nome sia stato antimeccanicista. Fra i tanti marxisti eminenti che si possono citare per dimostrare il mio assunto (4), ne convocherò qui solo alcuni.

Nella sua Storia della rivoluzione russa, Lev Trotsky scrive che un “paese arretrato assimila le conquiste materiali e intellettuali dei paesi avanzati. Ma ciò non significa che li segua servilmente, ripercorrendo tutte le fasi del loro passato”; infatti “una situazione storicamente arretrata (…) autorizza o, più esattamente costringe un popolo ad assimilare tutto quello che è stato fatto prima di una determinata data, saltando una serie di fasi intermedie” (TROTSKY 1964, pp. 18-9).

A proposito del problema di come un popolo che si suppone primitivo (il “papuano”) possa emanciparsi, Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere si chiede se “una nazione o un gruppo sociale che è giunto a un grado superiore di civiltà non possa (e quindi debba) 'accelerare' il processo di educazione dei popoli e dei gruppi sociali più arretrati, universalizzando e traducendo in modo adeguato la sua nuova esperienza”. Per Gramsci infatti, ammesso e non concesso che una fase storica di schiavitù sia il presupposto perché un popolo possa evolversi a uno stadio superiore di civiltà, questa evoluzione non avviene automaticamente: “è necessario anzi che ci sia una lotta in proposito, e questa lotta è proprio la condizione per cui i nipoti o pronipoti del papuano saranno liberati dalla schiavitù”. Sempre secondo Gramsci, il fatto che ci sia una ribellione contro la schiavitù “è anch'esso un fatto filosofico-storico: (…) perché solo questa resistenza mostra che si è realmente in un periodo superiore di civiltà e di pensiero” (GRAMSCI 1975, pp. 1366-67). Pur nel linguaggio cauto e cifrato imposto dalla censura carceraria, la metafora di Gramsci è abbastanza trasparente nel suo anticolonialismo, in quanto si riferisce all'aiuto che il proletariato dei paesi industrialmente più avanzati può e deve dare (in un processo rivoluzionario mondiale) ai popoli colonizzati che lottano per la propria emancipazione.



Rilevo a questo punto che, quando Slavoj Zizek parla di “bonapartismo progressivo” a proposito di Daenerys Targaryen, lo fa evidentemente da marxista e non sceglie le parole a caso. Quella del bonapartismo, o del cesarismo, è una categoria ben nota del lessico marxista: spesso è usata in senso negativo, come sinonimo di autoritarismo militarista. Tuttavia Gramsci invita a distinguere, in un quadro di lotta fra le classi sociali, fra cesarismo progressivo e regressivo. Secondo Gramsci, infatti, “il cesarismo (...) non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e uno regressivo (…). È progressivo il cesarismo, quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare sia pure con certi compromessi e temperamenti limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva (…). Cesare e Napoleone I sono esempi di cesarismo progressivo. Napoleone III e Bismark di cesarismo regressivo. Si tratta di vedere se nella dialettica 'rivoluzione-restaurazione' è l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale”  (GRAMSCI 1975, p. 1619).

Posto che esistono, quindi, degli esempi storici di “cesarismo progressivo”, è interessante rilevare come Gramsci abbia messo fra questi lo stesso Napoleone I. In ciò Gramsci è d'accordo con Rosa Luxemburg, la quale, parlando delle guerre napoleoniche, della loro base sociale e della loro importanza nell'abbattimento del sistema feudale in Europa, rileva come il “contadino parcellare francese” fosse “diventato il più valoroso difensore della grande rivoluzione francese, dopo che questa gli aveva regalato la terra confiscata all'emigrazione. Come soldato napoleonico egli portò alla vittoria la bandiera francese, attraversò tutta l'Europa e distrusse il feudalesimo in un paese dopo l'altro” (LUXEMBURG 2004, pp. 60-1).

In che modo questi elementari insegnamenti del marxismo (4) si applicherebbero alle Cronache del ghiaccio e del fuoco? È evidente: sotto la guida della Madre dei draghi, l'esercito rivoluzionario degli ex schiavi e dei “selvaggi” di Essos abbatterebbe la tirannide a Westeros, dopodiché i popoli di Westeros, in un quadro di solidarietà internazionalista, aiuterebbero quelli di Essos mettendo a disposizione in tale continente le loro tecniche produttive più avanzate. Infischiandosi, tutti quanti, di aspettare quella “crescita accelerativa delle forze di produzione” (qualunque cosa ciò voglia dire) che, secondo Drokalos, sarebbe il presupposto necessario per abolire la servitù.

6. Come regnerà la Madre dei draghi?

Jacopo Di Miceli (DI MICELI 2019) osserva giustamente che è “poco chiaro” in che modo, nel concreto, debba realizzarsi il progetto politico di Daenerys Targaryen. Possiamo però cercare alcuni elementi per definirlo meglio, prendendo per base sia le esplicite dichiarazioni della stessa Distruttrice di catene, sia alcune analogie con le vicende che (nella storia reale) hanno ispirato la storia romanzesca delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.

Viene spesso citato il seguente dialogo fra Daenerys e il suo consigliere Tyrion Lannister (serie televisiva, stagione 5, episodio 8):

“DAENERYS: Lannister, Targaryen, Baratheon, Stark, Tyrell, sono come raggi di una ruota. Prima uno, poi un altro, e un altro ancora, la ruota continua a girare schiacciando chi è sul terreno.
TYRION: È un bel sogno fermare la ruota. Non sei l'unica a desiderare che si avveri.
DAENERYS: Non ho intenzione di fermare la ruota; ho intenzione di distruggerla.”

L'intenzione di “distruggere la ruota” può avere un solo significato: abolire il potere delle casate feudali, che da secoli lottano fra loro per la supremazia. Eliminare (in quanto classe sociale) l'aristocrazia feudale, abbattendo il sistema ormai marcio che da secoli insanguina i sette regni.  

È noto, ed è stato riconosciuto dagli stessi autori, che tanto le Cronache del ghiaccio e del fuoco quanto la loro trasposizione televisiva traggono ispirazione da quel periodo della storia inglese localizzato fra il tramonto del feudalesimo e la nascita della monarchia assoluta: il periodo che va, grosso modo, dalla Guerra delle due rose all'ascesa della monarchia Tudor. Tale periodo, in cui sono ambientati anche i più importanti drammi storici di Shakespeare, fu caratterizzato non solo dalla “lotta di classe fra monarchia e nobiltà feudale” (LUKÁCS 1977, p. 179), ma anche, all'interno della stessa nobiltà feudale, dalla lotta fra i feudatari più tradizionalisti e gli strati più progressivi che iniziavano a trarre redditi crescenti dalle loro terre mediante la vendita della lana: questi ultimi avevano interessi in comune con la borghesia mercantile, il che condusse a “quell'alleanza fra mercanti e piccola nobiltà di campagna” su cui poggiava la monarchia dei Tudor e che più tardi, nel XVII sec., divenne egemone con la Guerra civile (HILL 1938).

L'esito più probabile della storia fittizia di Westeros narrata nelle Cronache del ghiaccio e del fuoco è, tutto sommato, lo stesso che si è verificato nella storia reale del regno d'Inghilterra: l'inesorabile declino dell'aristocrazia feudale – una classe sociale parassitaria, disumanamente assetata di potere, che si autodistrugge nelle guerre e nelle congiure – accompagnata dalla lenta e graduale ascesa della borghesia, inizialmente alleata con la monarchia assoluta e con i settori più avanzati della stessa nobiltà terriera. In questo schema, se ammettiamo che Daenerys Targaryen possa avere un po' la stessa funzione della regina Elisabetta I, allora il suo consigliere Tyrion Lannister potrebbe rappresentare quegli elementi più progressivi dell'aristocrazia i quali hanno capito che il dominio del feudalesimo volge alla fine. Non a caso Tyrion, rampollo diseredato dell'importante casata dei Lannister, colto e intelligente, libero dai pregiudizi dell'ideologia feudale per via della sua stessa condizione di nano che ha fatto di lui un escluso e un reietto – Tyrion trova la sua strada proprio come consigliere di Daenerys Targaryen. (Se non erro, un indizio di questa sua funzione progressiva e filo-borghese si può rintracciare in una scena, nel quarto episodio della sesta stagione, in cui Tyrion, in una trattativa con i padroni della Baia degli Schiavisti, li esorta ad abbandonare lo schiavismo in quanto esso non è affatto necessario per accumulare ricchezze: un invito – si direbbe – a passare a metodi di sfruttamento della forza-lavoro più moderni e “civili”).

Non è nemmeno un caso che, nel continente di Westeros, Daenerys trovi un'accoglienza ostile nel Regno del nord, dove le istituzioni feudali (anche grazie al “buon governo” della casata Stark) non sono ancora in crisi conclamata e conservano probabilmente una residua vitalità.

7. Uno spettro si aggira per la mediasfera: lo spettro del matriarcato

Se quello che ho proposto nella sezione precedente è l'esito più “realistico” della vicenda, non dobbiamo tuttavia dimenticare che le Cronache del ghiaccio e del fuoco (benché la storia sia una delle loro primarie fonti d'ispirazione) non sono un romanzo storico. Stiamo invece parlando di un ciclo fantasy.

Inoltre, come ogni opera narrativa, le Cronache esprimono in forma artistica le tensioni e le problematiche del tempo in cui sono state scritte. Per esempio: le emergenze di specie costituite dal cambiamento climatico, oppure dalla minaccia di agenti extraumani che sembrano mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della nostra specie (proprio in questi giorni in internet circola un meme ispirato al Trono di spade in cui il Coronavirus è rappresentato sotto l'aspetto del re degli “Estranei”).

Ecco, allora, che anche la vicenda della Madre dei draghi (come ha ben visto Zizek) assume una serie di significati attuali attinenti alla crisi del patriarcato.

La straordinaria figura di Daenerys Targaryen ben si presta a simboleggiare, anche in senso psicologico, tale problematica. Secondo la psicoanalista Jolande Jacobi, già di per sé il drago è una delle forme di manifestazione dell'archetipo del femminile (JACOBI 1990, p. 64).

Si direbbe, poi, che la psiche degli sceneggiatori del Trono di spade sia stata visitata da una sorta di atavico terrore del matriarcato. Per illustrare questo assunto farò ricorso ad alcune citazioni dallo studioso che ha reintrodotto nella cultura occidentale il tema del matriarcato e che, allo stesso tempo, ha tentato di esorcizzarne la minaccia per l'ordine patriarcale.

Secondo Bachofen, la “configurazione che la religione dionisiaca conferì alla vita dell'antichità ha in tutti i suoi aspetti un carattere prevalentemente femminile-materiale. Essa ha posto in primo piano la legge della vita materiale, ha promosso la libertà e l'uguaglianza tra gli uomini, ha eliminato tutte le differenze che scaturiscono dal terreno della politica, ha sciolto catene, ha liberato le classi servili, ha favorito la democrazia e la tirannia che da quella consegue”, ma ha anche “elevato i popoli dell'antichità ad un livello di sviluppo materiale che nascondeva, sotto lo splendore di uno sfarzo magnifico e di una raffinatezza irraggiungibile, la marcescenza della corruzione e dell'indebolimento” (BACHOFEN 2003, p. 178).

Sempre secondo Bachofen, il matriarcato, benché portatore di valori di libertà e di eguaglianza (o, piuttosto, proprio per questo) è funesto: egli scrive che la “supremazia dell'uomo è unita alla clemenza, quella della donna alla crudeltà. (…) L'età del diritto femminile è quella della vendetta e del sanguinario sacrificio umano, quella del patriarcato è l'epoca del tribunale, dell'espiazione, del culto senza spargimento di sangue” (BACHOFEN 2003, p. 66).

Difficile non vedere, in questa paura che il matriarcato suscita in Bachofen, una deformazione ideologica di tipo reazionario: è la paura che l'ordine patriarcale-borghese esprime di fronte alla prospettiva del suo abbattimento per via rivoluzionaria. La stessa paura che ha condotto gli autori del Trono di spade a calunniare il personaggio di Daenerys, facendo di lei nelle ultime puntate dell'ottava stagione (in modo quanto mai superficiale ed implausibile) una dittatrice spietata e sanguinaria.

Secondo Zizek, l'antifemminismo degli autori del Trono di spade ha tratto ispirazione dai drammi musicali di Richard Wagner (ZIZEK 2019). A mio parere si può citare, in proposito, un'opera ancora anteriore, ossia Il flauto magico di Mozart-Schikaneder. Anche in esso, secondo Augusto Illuminati, vi è una “generale contrapposizione fra matriarcato e patriarcato”, mentre, per quanto riguarda il personaggio della Regina della notte, Illuminati scrive che la sua “femminilità autonoma” è “streghizzata” (ILLUMINATI 1980, pp. 27-28). Il confronto con Daenerys Targaryen mi sembra pertinente, in quanto anche la Regina della notte subisce un “plot twist” simile a quello sofferto da Dany: da “buona” che era inizialmente, appare all'improvviso (e in modo poco motivato) “cattiva”. La musica di Mozart riscatta in qualche modo il torto che il libretto opera ai danni della Regina della notte, donando a questo personaggio le due più belle arie per soprano di tutto il repertorio classico. Sarà un caso - e rispettando tutte le debite proporzioni -, ma nel Trono di spade l'epica e travolgente colonna sonora di Ramin Djawadi ha i suoi momenti migliori proprio nei brani dedicati a Dany.

Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta, Khaleesi del Grande Mare d'Erba, la Non-Bruciata, Madre dei draghi, Mhysa, Distruttrice di catene, portatrice d'ideali di uguaglianza e di parità fra i generi, muore dunque vilipesa e calunniata, vittima del filisteismo dei suoi autori. L'ordine sembra così tornare su Westeros. Ma tutto lascia pensare che lo spettro di Dany non smetterà tanto presto di inquietare tiranni e padroni.
 
Paul Fröhlich, nelle pagine finali della sua biografia di Rosa Luxemburg, riporta una leggenda diffusa tra i proletari berlinesi: Rosa non è morta, e un giorno tornerà a guidare le masse verso la rivoluzione. Nel gennaio 1919, nel suo ultimo editoriale prima di essere trucidata, la rivoluzionaria polacca così scriveva:

“L'ordine regna a Berlino? Stupidi lacché! Il vostro ordine è costruito sulla sabbia. Domani la rivoluzione sorgerà ancora, scuotendo le sue armi, e, per il vostro terrore, proclamerà fra squilli di trombe: io ero, io sono, io sarò!”



NOTE AL TESTO

(1) Le Cronache del ghiaccio e del fuoco costituiscono un ciclo narrativo che, negli intenti del suo autore George R. R. Martin, si comporrà di sette libri. Di questi sono finora apparsi solo i primi cinque (pubblicati dall'editore italiano dapprima in un'edizione in dodici tomi e successivamente – come nell'originale inglese – in una nuova edizione in cinque tomi). La serie televisiva Il Trono di spade, con le sue otto stagioni andate in onda fra il 2011 e il 2019, ha invece completato il suo ciclo: le prime quattro stagioni e parte della quinta si basano sui romanzi apparsi finora, mentre le ultime tre stagioni sono state scritte da David Benioff e D.B. Weiss basandosi su indicazioni di Martin e su alcuni capitoli, pubblicati in anteprima, dei libri ancora inediti. Un confronto approfondito tra romanzo e serie televisiva sarà possibile solo quando (e se) tutti i libri del ciclo saranno stati pubblicati. Nel presente articolo farò riferimento al romanzo fin dove è possibile, e alla serie televisiva per le vicende che solo in quest'ultima trovano finora sviluppo. Un interessante confronto tra libri e serie è stato tentato dalla blogger Rainhadaenerys, che ha dimostrato in modo convincente come la serie, prima ancora delle ultime puntate, fosse già molto più sessista di quanto non apparisse il romanzo. Cfr.  RAINHADAENERYS 2019.

(2) Vi è stato un lungo dibattito storiografico sul problema se gli schiavi dell'antichità potessero considerarsi una classe sociale in senso marxista. Vari autori lo negano: cfr. per es. KONSTAN 1975. Nel presente articolo seguirò però l'avviso, che mi pare più corretto, di STE. CROIX 2017, secondo il quale gli schiavi (nel pensiero di Marx e nella realtà storica) costituivano effettivamente una classe. In questo senso mi discosterò dal parere espresso nel pur fondamentale saggio su Spartaco di Aldo Schiavone (SCHIAVONE 2011), secondo il quale nella società antica non esistevano vere e proprie classi sociali. Mi pare che anche Schiavone (con lo stesso atteggiamento già criticato da Ste. Croix a proposito di altri autori) faccia confusione fra classe e coscienza di classe: la prima può esistere anche quando manca la seconda, come (forse) era il caso per gli schiavi dell'antichità. Del resto Schiavone, quando scrive che fra gli schiavi prendevano corpo “attitudini soggettive e scelte personali assai differenziate – dalla resistenza e dal sabotaggio, fino alla completa adesione allo stile di vita dei padroni”, non si avvede che appunto la resistenza e il sabotaggio sono forme embrionali di lotta di classe. Mi pare cioè che Schiavone abbia una concezione troppo ristretta della lotta di classe, modellata su schemi otto-novecenteschi, e che ciò gli impedisca di vedere l'esistenza delle classi sociali anche in epoca pre-industriale e in quello che egli impropriamente chiama “il nostro presente postindustriale”.

(3) Nel Marx della maturità non si trovano gli argomenti che Drokalos propone per giustificare la schiavitù. Per quanto riguarda la schiavitù antica, una sua giustificazione in chiave storicista, con argomenti simili a quelli proposti da Drokalos, si trova non in Marx, bensì nell'Antidühring di Engels: cfr. ENGELS 1968, pp. 192-94. Ma vedi le considerazioni critiche al riguardo espresse dal curatore Valentino Gerratana nella sua Nota introduttiva, sempre in ENGELS 1968, pp. XXIX-XXXII: per Gerratana il ragionamento di Engels pecca di eurocentrismo. Gerratana osserva che comunque Engels corresse questa sua concezione nella sua successiva opera L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, ove Engels riconobbe la superiorità morale delle società cosiddette primitive che non hanno mai conosciuto la schiavitù. Per quanto riguarda la schiavitù in epoca contemporanea a Marx, solo in una sua lettera ad Annenkov del 1846 (ossia in uno scritto ancora giovanile) troviamo alcune discutibili osservazioni sulla schiavitù come “perno essenziale” dell'industrialismo moderno: tuttavia Miguel Mellino e Andrea Ruben Pomella fanno notare come  Marx sia stato “un convinto e dichiarato nemico della schiavitù e del commercio europeo degli schiavi in Africa” e come, nei suoi scritti sulla guerra civile americana, Marx abbia “lodato la resistenza degli schiavi e mostrato apertamente il suo appoggio alle ribellioni e all'emancipazione dei neri” (MELLINO-POMELLA 2020).

(4) Nell'accostare tre rivoluzionari come Trotsky, Gramsci e Rosa Luxemburg, non intendo naturalmente assimilarli l'uno all'altro: è noto infatti che i tre furono fautori di opzioni politiche alquanto differenti fra loro. Per esempio nei Quaderni di Gramsci si trovano notoriamente, assieme ad alcuni apprezzamenti, anche critiche severe all'indirizzo di Rosa Luxemburg e di Trotsky.  Vorrei però evidenziare come le diverse proposte strategiche dei tre si collochino comunque tutte all'interno di un quadro comune, che è quello del marxismo rivoluzionario internazionalista, e che tale quadro è inconciliabile tanto con l'evoluzionismo della Seconda internazionale, quanto con lo stalinismo.

RINGRAZIAMENTI E DEDICA

Ringrazio mia moglie Anna e mia figlia Martina per aver discusso con me la materia  di questo articolo; senza le loro intelligenti osservazioni esso non sarebbe mai stato scritto. La responsabilità per le tesi e per eventuali errori qui contenuti è naturalmente solo mia.

Ringrazio il collettivo Nicoletta Bourbaki per tutto quello che ho imparato insieme a loro su questi argomenti e su mille altri.

Questo articolo è dedicato a Roberto, aka Wu Ming 1, con amicizia e stima. Grazie di tutto, compagno!

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

BACHOFEN  2003: Johann Jakob Bachofen, Il matriarcato. Storia e Mito tra Oriente e Occidente, a cura di Giampiero Moretti, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003

CARR 1982: Edward H. Carr, 1917. Illusioni e realtà della rivoluzione russa, Einaudi, Torino 1982

DI MICELI 2019: Jacopo Di Miceli, Qual è la morale politica di Game of Thrones?, “Wired”, 29 maggio 2019, https://www.wired.it/play/televisione/2019/05/29/morale-politica-di-game-of-thrones/

DROKALOS 2019: Sotirios Fotios Drokalos, Game of Thrones ha compreso Hegel e Marx meglio di Slavoj Zizek, “Immoderati”, 11 giugno 2019,  https://web.archive.org/web/20200110144028/https://www.immoderati.it/game-of-thrones-ha-compreso-hegel-e-marx-meglio-di-slavoj-zizek/

ENGELS 1968: Friedrich Engels, Antidühring, a cura di Valentino Gerratana, Editori Riuniti, Roma 1968

ENGELS-MARX 1972:  Friedrich Engels – Karl Marx, La sacra famiglia ovvero Critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, a cura di Aldo Zanardo, Editori Riuniti, Roma 1972

GRAMSCI 1975: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica dell'Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975

HILL 1938: Christopher Hill, English History, “The Labour Monthly”, vol. 20, n. 7, luglio 1938, pp. 449-452 (l'articolo è una recensione di A. L. Morton, A People’s History of England). Ora  leggibile in https://www.marxists.org/archive/hill-christopher/1938/07/english_history.htm

ILLUMINATI 1980:  Augusto Illuminati, Gli inganni di Sarastro. Ipotesi sul politico e sul potere, Einaudi, Torino 1980

JACOBI 1990: Jolande Jacobi, La psicologia di C. G. Jung, Boringhieri, Torino 1990

KONSTAN 1975: David Konstan, Marxism and roman slavery. “Arethusa”, vol. 8, no. 1, 1975, pp. 145–169. JSTOR, www.jstor.org/stable/26307445

LUKÁCS 1977: György Lukács, Il romanzo storico, Einaudi, Torino 1977

LUXEMBURG 2004:  Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa. Un esame critico. La tragedia russa, Massari Editore, Bolsena 2004

MARTIN 2016a: George R.R. Martin, I fuochi di Valyria, Mondadori, Milano  2016

MARTIN 2016b: George R.R. Martin, L'ombra della profezia, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016c: George R.R. Martin, Il trono di spade – Il grande inverno. Libro primo delle cronache del ghiaccio e del fuoco, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016d: George R.R. Martin, Tempesta di spade, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016e: George R.R. Martin, I guerrieri del ghiaccio, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016f: George R.R. Martin, Il portale delle tenebre, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016g: George R.R. Martin, La danza dei draghi, Mondadori, Milano 2016

MARTIN 2016h: George R.R. Martin, I fiumi della guerra, Mondadori, Milano 2016

MARX 2009: Karl Marx, Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine, traduzione e cura di Politta Foraboschi, Edizioni Unicopli, Milano 2009

MARX-ENGELS 1978:  Karl Marx - Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, a cura di Emma Cantimori Mezzomonti, Mondadori, Milano 1978

MELLINO-POMELLA 2020: Miguel Mellino e Andrea Ruben Pomella (a cura di), Marx nei margini. Dal marxismo nero al femminismo postcoloniale, Alegre, Roma 2020

MUSTO 2018: Marcello Musto, Karl Marx. Biografia intellettuale e politica 1857-1883, Einaudi, Torino 2018

RAGIONIERI 1978: Ernesto Ragionieri, La Terza Internazionale e il Partito comunista italiano, Einaudi, Torino 1978

RAINHADAENERYS 2019: Rainhadaenerys, Daenerys - Books vs Show - Sexism and Bad Writing in the show, “rainhadaenerys.tumblr.com”, 25 marzo 2019, https://rainhadaenerys.tumblr.com/post/183704880382/daenerys-books-vs-show-sexism-and-bad-writing

STE. CROIX 2017: Geoffrey Ernest Maurice de Ste. Croix, La lotta di classe nell’antichità greca e romana, “Traduzioni marxiste”, 2 luglio 2017, https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2017/07/02/la-lotta-di-classe-nellantichita-greca-e-romana/ (è una traduzione dell'articolo Class in Marx’s conception of history, ancient and modern,  “New Left Review” I/146, luglio-agosto 1984)

SCARLET 2019: Janina Scarlet, Why Daenerys' sudden arc shift may be difficult for trauma survivors and what to do about it, “syfy.com”, 19 maggio 2019, https://www.syfy.com/syfywire/why-daenerys-sudden-arc-shift-may-be-difficult-for-trauma-survivors-and-what-to-do-about-it

SCHIAVONE 2011: Aldo Schiavone, Spartaco. Le armi e l'uomo, Einaudi, Torino 2011

TROTSKY 1964: Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, a cura di Livio Maitan, Sugar, Milano 1964

TUFEKCI 2019:  Zeynep Tufekci, The Real Reason Fans Hate the Last Season of Game of Thrones, “blogs.scientificamerican.com”, 17 maggio 2019, https://blogs.scientificamerican.com/observations/the-real-reason-fans-hate-the-last-season-of-game-of-thrones/

VANETTI 2019: Mauro Vanetti, La sinistra di destra. Dove si mostra che liberisti, sovranisti e populisti ci portano dall'altra parte, Edizioni Alegre, Roma 2019

WU MING 4 2013:  Wu Ming 4, Difendere la Terra di Mezzo. Scritti su J.R.R. Tolkien, Odoya, Bologna 2013

ZIZEK 2019: Slavoj Zizek, Game of Thrones tapped into fears of revolution and political women – and left us no better off than before, “Independent”, 21 maggio 2019, https://www.independent.co.uk/voices/game-thrones-season-8-finale-bran-daenerys-cersei-jon-snow-zizek-revolution-a8923371.html

mercoledì 27 giugno 2018

Per un corretto inquadramento teorico del fenomeno migratorio

Mauro Vanetti ha pubblicato su Giap! un importante contributo (sotto forma di "miniserie" in due puntate) che contribuisce in modo significativo a controbattere talune recenti deformazioni della teoria marxista a proposito di migranti e migrazioni. Sono particolarmente grato all'autore per aver contribuito alla riscoperta degli scritti di un importante studioso e militante, oltreché mio illustre conterraneo, Paolo Cinanni.

Ecco la prima e la seconda puntata della miniserie di Mauro Vanetti. Buona lettura!

domenica 27 maggio 2018

Gioacchino Criaco, La maligredi: la mia recensione


Ho pubblicato su Academia.edu la mia recensione del romanzo di Gioacchino Criaco La maligredi, Feltrinelli, Milano 2018. 

(Per chi non lo sapesse, Academia.edu è un sito web per ricercatori, una sorta di social network in cui è possibile condividere liberamente studi, materiali ecc.)