venerdì 21 marzo 2014

La cultura delle destre

Il libro che sto recensendo è: Gabriele Turi, La cultura delle destre. Alla ricerca dell'egemonia culturale in Italia, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 175, Euro 14,00, ISBN 978-88-339-2429-8.

L'autore insegna storia contemporanea a Firenze e dirige la rivista "Passato e presente". Il libro, nonostante il titolo, non ha molto a che vedere col celebre saggio di Furio Jesi; ha un approccio decisamente meno teoretico, in compenso è ricchissimo di dati.

Il presupposto da cui parte è molto semplice: la cosiddetta "egemonia culturale della sinistra" nell'Italia del dopoguerra è una leggenda metropolitana. In realtà l'ideologia dominante è sempre stata di destra; Turi si spinge fino ad affermare una "centralità del fascismo nella storia culturale e civile del paese". Il berlusconismo è l'erede e il continuatore di questa cultura.

La trattazione inizia con un ampio estratto del famigerato intervento di Luciano Violante alla Camera del 10 maggio 1996 (quello che invitava a "riflettere" sui "ragazzi" di Salò in nome dei "valori nazionali comunemente condivisi"). Turi dimostra come l'exploit di Violante sia stato preparato da decenni di "edulcoramento storiografico della dittatura di Mussolini"; tappe importanti di questa operazione di normalizzazione del fascismo, a livello massmediatico, furono due mostre sugli anni '30, una allestita a Milano nel 1982 e l'altra a Roma nel 1984 (quest'ultima con la consulenza di Renzo De Felice): "entrambe promosse da amministrazioni socialiste", ha cura di specificare Turi.

Turi menziona poi un altro "caso esemplare": la proposta, da parte dell'allora sindaco di Roma Francesco Rutelli, nel 1995, di dedicare una via a Giuseppe Bottai. L'iniziativa riscosse il plauso (fra gli altri) di Massimo Cacciari, e fu bloccata solo dalle proteste della comunità ebraica; ci si era dimenticati, fra l'altro, che Bottai era stato uno dei sostenitori più ferventi delle leggi razziali; l'immagine corrente di Bottai era infatti quella giustificazionista del "fascista critico" delineata da Giordano Bruno Guerri nella sua fortunata biografia del 1976.

Il patriottismo, la ricerca di valori nazionali, di una "memoria condivisa" e di una "pacificazione" sono il Leitmotiv che, nella ricostruzione di Turi, caratterizza la polemica anti-antifascista condotta negli anni '90 da intellettuali come Renzo De Felice, Roberto Vivarelli, Ernesto Galli Della Loggia, spesso con l'assenso e il plauso della sinistra istituzionale. Troviamo ancora il buon Francesco Rutelli in prima linea nell'operazione di riabilitazione di Giovanni Gentile, filosofo a cui il comune di Roma dedicò un convegno nel 1994 presentandolo come un patriota al di sopra delle parti e dimenticandone l'organicità al nazifascismo.

Interessante notare che, in questo frame revisionistico, chi ostacola la "pacificazione", chi alimenta la "divisività", è un potenziale terrorista. Turi cita Vivarelli, secondo il quale per colpa degli antifascisti nell'Italia del dopoguerra "si perpetuò un clima di strisciante guerra civile, che [...] produsse la tragica stagione del terrorismo".

Turi sottolinea il ruolo degli intellettuali craxiani nel diffondere in Italia durante gli anni '80 le idee del neoliberismo reaganiano e thatcheriano e nel promuovere l'anticomunismo. Questi intellettuali poi, assieme ad altri di estrazione neofascista o cattolico-reazionaria, divennero nel decennio '90 gli artefici principali dell'ideologia populista berlusconiana, la quale nell'ultimo quindicennio si è dotata di "una rete di think thank, laboratori di idee ispirati al modello statunitense, capaci di costruire e diffondere un comune sentire"; tutta una serie di riviste, fondazioni, case editrici, "poco conosciute presso l'opinione pubblica" ma efficaci come centri di "aggregazione di intellettuali e di elaborazione culturale" (e, di solito, ben finanziate dagli industriali).

Turi ricostruisce minuziosamente alcuni fra i principali momenti dell'offensiva culturale di destra: la battaglia a favore del mantenimento del crocifisso nelle aule scolastiche (una battaglia vinta dalla destra anche a causa dell'atteggiamento imbelle assunto al riguardo dal centrosinistra); la vicenda, davvero tragicomica, della censura proposta dal centrodestra sui manuali scolastici di storia, anche qui in nome della "memoria condivisa", della pacificazione, dell'imparzialità e contro la presunta "egemonia culturale" della sinistra.

Interessante il confronto, proposto da Turi, fra il modo in cui il novantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale è stato ricordato in Italia e in altri paesi europei. Turi mostra come nel 2008 in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, le celebrazioni ufficiali siano state improntate alla pietà per le vittime, all'orrore per l'enormità del massacro e siano state accompagnate, a volte, da gesti ufficiali di riabilitazione dei soldati che furono condannati come disertori. Tutto il contrario in Italia, dove "la sostanza della commemorazione è rimasta affidata al tema dell'identità nazionale" e dove il ministero dell'Istruzione ha promosso una serie di conferenze nelle scuole affidate non agli storici ma agli ufficiali dell'esercito, in quella che è stata definita la "più imponente manifestazione di propaganda militare che l'Italia repubblicana abbia mai messo in piedi".

Nell'ultimo capitolo del suo libro Turi prova a tracciare una mappa del revisionismo storico su Internet, individuando "un network molto ampio di riviste e di istituzioni [...] una rete circolare in cui appaiono ripetutamente gli stessi nomi, specchio di una visione della storia che in breve tempo da antagonista è diventata governativa". Il capitolo è un ricco dossier di nomi e di indicazioni bibliografiche, una minuziosa schedatura di cui in questa sede non posso dare un'idea.

La conclusione cui giunge Gabriele Turi è che la cultura di destra è saldamente egemone ed è destinata a sopravvivere alla fine politica di Silvio Berlusconi. Aggiungerei che l'attuale esperienza dei governi di “larghe intese” (Monti, Letta, Renzi) getta una luce retrospettiva su molte delle prese di posizione filorevisioniste, da parte di esponenti del centrosinistra, ricordate nel libro di Turi. Bisognerebbe scrivere un libro analogo a quell di Turi, dedicato alla "cultura di sinistra", nel quale si mostrerebbe come a partire da Togliatti il nazionalismo abbia infettato nei decenni la cultura politica del PCI - PDS - DS - PD fino a stravolgerla completamente. Ma questa è un'altra storia.