martedì 6 marzo 2012

Su "My Favorite Things" di John Coltrane

Il 16 novembre 1959 debuttava a Broadway The Sound of Music, di Richard Rodgers e Oscar Hammerstein, uno dei musical più popolari di tutti i tempi anche grazie alla versione cinematografica che ne fu tratta nel 1965 (regia di Robert Wise, protagonista Julie Andrews, la versione italiana porta il titolo Tutti insieme appassionatamente).

Una particolare canzone tratta da questo musical ha avuto fortuna immensa. Di My Favorite Things, infatti, si contano centinaia di cover; l'elenco preparato dai redattori di Radio Rai è lungo sedici pagine.

Qui mi occuperò della versione forse più celebre, quella incisa in studio da John Coltrane il 21 ottobre 1960. Per capire quest'ultima, però, è opportuno partire dalla versione originale di Richard Rodgers. In questo articolo mi avvarrò dell'analisi condotta dal massimo studioso di Coltrane, il musicologo Lewis Porter, nella sua fondamentale monografia (Blue Train. La vita e la musica di John Coltrane, traduzione di Adelaide Cioni, Minimum Fax, Roma 2006, pp. 277-80).

La canzone è musicalmente molto semplice. Si tratta di un valzer in mi minore di quattro strofe, A-A-A'-B. Le prime tre strofe hanno la stessa musica, salvo che nella terza strofa, A', dove ci sono otto battute in maggiore. La quarta strofa, B, usa una diversa melodia e finisce in sol maggiore.

Qui di seguito copio il testo della canzone, di Oscar Hammerstein, cui faccio seguire una traduzione, volutamente molto pedestre, che ho preparato grazie all'ausilio del traduttore automatico di Google:



(A) "Raindrops on roses and whiskers on kittens
Bright copper kettles and warm woolen mittens
Brown paper packages tied up with strings
These are a few of my favorite things

(A) Cream colored ponies and crisp apple streudels
Doorbells and sleigh bells and schnitzel with noodles
Wild geese that fly with the moon on their wings
These are a few of my favorite things

(A') Girls in white dresses with blue satin sashes
Snowflakes that stay on my nose and eyelashes
Silver white winters that melt into springs
These are a few of my favorite things

(B) When the dog bites
When the bee stings
When I'm feeling sad
I simply remember my favorite things
And then I don't feel so bad!"

"Gocce di pioggia su rose e baffi di gattini
Bollitori di rame luminosi e caldi guanti di lana
Pacchetti di carta marrone legati con corde
Queste sono alcune delle mie cose preferite

Pony color crema e croccanti struedel di mele
Campanelli e campanelli da slitta e schnitzel con tagliatelle
Le oche selvatiche che volano con la luna sulle ali
Queste sono alcune delle mie cose preferite

Ragazze in abiti bianchi con sciarpe di raso blu
Fiocchi di neve che rimangono sul mio naso e sulle ciglia
Inverni bianchi d'argento che si sciolgono in primavere
Queste sono alcune delle mie cose preferite

Quando il cane morde
Quando l'ape punge
Quando mi sento triste
Non ho che da ricordarmi delle mie cose preferite
E allora non mi sento così male!"

The Sound of Music è ambientato a Salisburgo, fra le due guerre. Richard Rodgers ha naturalmente cercato di tener conto della tradizione musicale austriaca: My Favorite Things, come detto, è un valzer; negli altri brani si sentono riferimenti allo jodler, al laendler, al canto gregoriano, ecc. In un numero c'è anche un singolare omaggio ad Haydn: la canzone So long, farewell è eseguita da un coro di bambini che, uno alla volta, abbandonano il proscenio, finché a cantare rimane una sola bambina, così come, nel finale della Sinfonia degli addii, tutti gli esecutori smettono uno alla volta di suonare facendo concludere la sinfonia da un solo violinista.

Come ci si potrebbe aspettare, il testo di My Favorite Things fa uso di un immaginario prettamente alpino, o comunque nordeuropeo: bollitori per il té, guanti di lana, slitte che corrono sulla neve... Se di questa canzone volessimo realizzare un video-clip animato, seguendo pedissequamente il testo, dovremmo adoperare in prevalenza le tinte chiare, e in particolare il colore bianco, la cui presenza, in corrispondenza della terza strofa (quella con le otto battute in maggiore), diventa quasi ossessiva: abiti bianchi, fiocchi di neve, inverni bianchi... (Nella versione cinematografica quest'aspetto "eurocentrico" della canzone è ancora più sottolineato dal forte accento british di Julie Andrews).

Molti si sono chiesti cosa potesse avere indotto un artista come John Coltrane, che da lì a poco sarebbe diventato un'icona della cultura afro-americana, a musicare una sua versione di questo brano, il quale inizialmente c'entrava così poco con il jazz.

Secondo Lewis Porter, è un errore "dare per scontato che Coltrane trovasse la canzone sciocca e che per questo volesse abbellirla". Al contrario, Coltrane ammirava sinceramente questa canzone e, nella sua versione, la trattò "con rispetto". Il "messaggio" della canzone, "che le cose buone ci aiutano a superare le cattive", è secondo Porter "del tutto sensato e prezioso - per nulla sciocco - è solo che utilizza esempi alla portata di un bambino, perché nel copione la canzone si rivolge a dei bambini".

Qui però l'ottimo Porter ha preso una cantonata. Nel film, è vero, Julie Andrews canta la canzone a dei bambini. Il film, però, è del 1965, quindi è posteriore all'incisione di John Coltrane, che a quell'epoca poteva conoscere solo la versione teatrale di questo musical; e, nella versione teatrale, la protagonista canta My Favorite Things in una delle scene iniziali, che si svolgono in un convento di suore, e non la canta ai bambini, bensì alla Madre Badessa del convento.

Sembra, in realtà, che Coltrane non fosse attratto tanto dal "messaggio" della canzone, quanto invece dalla sua manipolabilità sul piano strettamente musicale. Ecco come si espresse Coltrane in un'intervista: "Questo valzer è fantastico: se lo suoni lento, senti un elemento di gospel che non è per niente sgradevole; se lo suoni veloce, possiede altre innegabili qualità. E' molto interessante scoprire un terreno che si rinnova a seconda dell'impulso che gli dai".

Quindi, si direbbe che il valzer di Rodgers fosse per Coltrane quello che il valzer di Diabelli era stato per il Beethoven dell'op. 120: poco più che un pretesto, un canovaccio utile per imbastire una serie potenzialmente infinita di variazioni che poco o nulla hanno a che fare con il tema originale. E, in verità, Coltrane eseguì in concerto My Favorite Things moltissime volte (secondo Wikipedia, sono state documentate su nastro non meno di 45 esecuzioni), creandone versioni sempre più lontane dalla canzone originale, fino a renderla irriconoscibile.

La versione sull'album si compone di un'introduzione di quattro battute, suonata due volte; viene poi esposto un vamp (breve inciso ritmico, costantemente ripetuto, che è per il jazz quello che nel rock si chiama riff e nella musica barocca si chiama ostinato), cui fanno seguito un primo assolo di Coltrane, un altro assolo di McCoy Tyner al pianoforte, e un assolo finale ancora di Coltrane, per complessivi 14 minuti circa. Nel primo assolo Coltrane esegue le prime due strofe (A) in minore, poi c'è un interludio in maggiore, poi altre due strofe (A) in minore. Gli altri due assoli seguono lo stesso schema, salvo che per la parte finale dell'assolo conclusivo di Coltrane, di cui dirò fra poco.



La prima cosa che si nota all'ascolto è che Coltrane ha spostato molto lontano dall'Europa il baricentro etnico del brano. La ripetizione ossessiva, ipnotica, di un inciso ritmico in tempo dispari; la voce acuta dello strumento a fiato (un sax soprano, fino ad allora poco usato nel jazz); il clima di fissità tonale e il senso del tempo molto dilatato, sono tutti elementi che richiamano la musica orientale. (A me il brano fa venire in mente una danza sufi). Porter nota che Coltrane era appassionato di musica indiana, era un ammiratore di Ravi Shankar, ed era profondamente interessato alla musica folk e modale di tutto il mondo, nonché alle scale pentatoniche (pare che certe volte, nelle sue esercitazioni, eseguisse col sassofono determinate sequenze del Concerto per orchestra di Béla Bartók). Sempre secondo Porter, in My Favorite Things si possono anche scorgere influenze musicali provenienti dall'Africa occidentale.

La cosa per me più sorprendente è che, nella musica originale di questa canzone, Coltrane abbia sentito un "elemento gospel". Per quanto ascolto e riascolto la canzone di Rodgers e Hammerstein, devo confessare che questo elemento gospel non riesco assolutamente a percepirlo. Ma è significativo che, per Coltrane, la canzone avesse qualcosa a che fare con le radici stesse della musica nera americana. Questo forse ci aiuta a far luce su un'altra singolarità della versione di Coltrane.

Abbiamo detto che la versione coltraniana di My Favorite Things è basata sulla strofa A della musica originale. Che fine ha fatto la strofa B, quella il cui testo contiene, secondo Porter, il "messaggio" della canzone e che si conclude in modo maggiore?

Alla fine del suo assolo conclusivo, Coltrane esegue anche la strofa B, senza apportare particolari variazioni alla musica. Però la esegue in mi minore, dandole, secondo Porter, "un effetto più pensoso, riflessivo".

Il testo originale della strofa B fa riferimento ad api che pungono e a cani che mordono, per delineare scherzosamente una situazione da "giornata storta", in cui le cose, chissà perché, non vanno per il verso giusto. Ma questa situazione si supera (dice la canzone) richiamando alla mente le piccole cose belle della vita. Se si fa in questo modo, l'atteggiamento cambia e ci si accorge che non si sta poi così male. La canzone si chiude così, trionfalmente, in sol maggiore.

Qui, però, è meglio fare ricorso alla bella traduzione ritmica di Antonio Amurri (quella utilizzata nella versione italiana del film), che ha colto al meglio il senso di questa strofa:



"Se son triste, infelice, e non so il perché,
io penso alle cose che amo di più
e torna il seren per me!"

Immaginiamo ora di sentire queste parole sovrapposte al mi minore del sax di John Coltrane, nelle battute finali del suo secondo assolo (a partire dal minuto 12'33''). L'effetto è di un'ironia indefinibile, profonda, pungente, tristemente consapevole. Uno speciale tipo di sarcasmo, composto e controllatissimo, ma inequivocabile.

Per me (e sottolineo: per me) in questo minuto e dodici secondi di musica c'è l'essenza stessa del jazz. Ogni volta che l'ascolto, mi commuovo.

Provo a spiegarmi meglio.

Il cantante e chitarrista Huddie W. Leadbetter (1885-1949), uno fra i musicisti più influenti della musica nera americana del secolo ventesimo, tentò una volta di definire a parole quel particolare complesso psicologico che porta il nome di blues. Possiamo leggere le sue parole come una specie di negativo fotografico della canzone di Rodgers e Hammerstein:

"Quando la notte sei sdraiato nel letto, e ti giri da una parte e dall'altra senza riuscire a prendere sonno, non c'è niente da fare. I blues si sono impadroniti di te... Quando ti svegli al mattino, ti siedi sulla sponda del letto, e puoi avere vicino a te padre e madre, sorella e fratello, il tuo ragazzo o la tua ragazza, ma non hai voglia di parlargli... Non ti hanno fatto niente, e tu non hai fatto niente a loro, ma che cosa importa? I blues si sono impadroniti di te".

Così commenta Arrigo Polillo nel suo classico Jazz. La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana (Mondadori, Milano 2009, p. 43): "Avere i blues è qualcosa di diverso dall'essere triste dell'uomo bianco. E' essere afflitti da un tedio esistenziale, da una malinconia greve che non lascia spazio alle fantasticherie, vuol dire autocommiserazione, rassegnazione, vuol dire disperazione sorda, grigiore, miseria. E' una poesia fondata sulle cose di tutti i giorni, su personaggi familiari, visti in una luce realistica, con occhio disincantato. Non c'è, né ci vuol essere, nel blues, trasfigurazione lirica, che è un lusso da bianchi; non c'è dramma, perché il dramma è fatto di ombre ma anche di luci. C'è invece la consapevolezza di una tragedia in atto, che non finirà mai. Il blues singer non canta la vita, ma il non morire, parla sempre di ciò che non ha e che non avrà mai".

Ecco il senso del mi minore con cui si conclude My Favorite Things di John Coltrane. Non c'è consolazione, e non c'è neanche protesta. E' la constatazione oggettiva di una situazione fondamentalmente tragica. Il "messaggio" della canzone di Rodgers e Hammerstein è sovvertito. Vista in questa luce, non solo la canzone, ma la stessa cultura (musicale e non solo) cui essa fa riferimento, viene radicalmente messa in questione.

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